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Lo spirito del Surf

Si può dire che visto da riva, il Surf non sembra proprio uno sport spettacolare: almeno per il 90 per cento del tempo. Infatti è costituito per un buon 60 per cento dai movimenti di pagaiata verso la lineup. Un 35 abbondante in attesa dell'onda mentre solo il 5 per cento lo si passa a surfare. E' sicuramente uno sport che o lo ami, o lo odii. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono quelli che lo fanno tanto per... O lo fai e ne diventi assuefatto, o sei solo un manichino da spiaggia che vuol solo posare con la tavola sottobraccio nemmeno sporca di paraffina per sembrare fico, per sembrare un vero beach boy american style.
Al surfista non interessa tutto questo. L'adrenalina e il godimento di un onda che sta per lanciarti equivale ad una sensazione che ha dell'indescrivibile. Come può comprendere questo sport, questo stile di vita, chiunque abbia la partita di calcetto prenotata per il mercoledì sera? Chi tutti i martedì e giovedì gioca a tennis o peggio alla domanda "fai sport?" risponde, "si, faccio palestra!".
Per citare il saggio ragazzino che affitta tavole a Malibù, "il Surf è rivelazione, dico davvero, ti cambia la vita".
Se così non fosse, chi fosse scettico e non ci crede, ho una domanda da farvi: ma tu che giochi a calcetto ed arricci le sopracciglia, ti alzeresti una domenica mattina alle sei e mezza, per una partita sotto la pioggia con vento e freddo? Forse no, preferisci la vita facile, il pallone, il campo al coperto come e quando vuoi te. La tua vita è diversa, il tuo stile è diverso. Nel surf tutto questo non esiste. Sei un tutt'uno con il mare, quando regala le codizioni tu ci sei o cerchi di esserci. Questo perchè il surf è assimilabile ad una droga. E' duro e costa fatica, richiede sacrifici e determinazione. Ma chi lo fa, lo ama e continua a farlo, è perchè in quel fottuto cinque per cento, c'è il segreto della rivelazione, la secrezione dei più estasianti ormoni che portano a sfinire le tue spalle, le tue braccia e i tuoi pettorali. Remi fino a quando non ne puoi più, e alla fine trovi una pace interiore. Hai surfato, hai dato il massimo, te e il mare, in una danza di superficie. Ora non ti resta che aspettare la prossima volta.
Alla domanda, quando surfi qual è il momento più bello? C'è chi risponde quando vedi da lontano l'onda che decidi di surfare, c'è chi dice nel momento in cui riesco a fare il trick che tanto mi ha fatto sudare, c'è chi dice nel momento in cui remo, remo... e d'un tratto la tavola diventa leggera, prende velocità e via, ci si alza in piedi. Si, questo è decisamente il momento in cui il corpo regala l'emozione; il momento in cui la tavola la senti, vibra da sotto la pancia e ti trasmette l'input che è ora, lei è partita ora tocca a te.
Una volta fuori dall'acqua, i surfisti restano a guardare, altri se ne vanno. Alcuni hanno i capelli lunghi, altri si asciugano e rimettono gli abiti da lavoro; professionisti in giacca e camicia, studenti, operai... Una passione che accomuna un popolo senza casta, senza etichetta. L'unica etichetta è quella che viene data dalla gente che non sa, la gente che ne è fuori, la gente che resta fuori... dall'acqua.

IL SHAKA SIGN
Ultimamente si sta notando un'inflazionamento dell'uso dello Shaka Sign in ogni situazione o circostanza. Spesso nelle foto di gruppo, qualcuno vuol sentirsi fico facendo quello che lui chiama "il saluto dei surfisti". Oppure si vede anche in tv, da qualche personaggio pseudo famoso o comunque sempre di più da chi non ha nulla a che vedere con lo spirito del surf. Questo in un certo senso, per chi fa surf, è un fastidio. E' un fastidio perchè, per usare una metafora, non alziamo in terzo dito senza saperne il significato, o sbaglio? E perchè non usare il pollice verso l'alto alla Fonzie? Il Shaka Sign ora è di gran voga e visto che noi surfisti non possiamo farci niente, allora ben venga che se ne conoscano le origini. Il "Shaka Sign" nasce alle Hawaii, ufficialmente intorno agli anni '60 è stato importato nel mondo continentale attraverso una trasmissione televisiva. Simboleggiava un atteggiamento amichevole tra i surfisti locals degli spot Hawaiiani, un richiamo all'Aloha Spirit che unanimamente si rifà all'amicizia, alla condivisione della stessa terra e acqua pur proveniendo da etnie differenti. La traduzione semantica diretta dello Shaka Sign quindi non esiste. Significa, volendo adeguarlo all'uso che oggi ne viene fatto al di fuori delle isole Hawaii, "è tutto ok", "alla grande", "bella storia", "ciao" o semplicemente anche "ti chiamo dopo"...
Un uso commerciale improprio ne è derivato dallo Shaka Sign: lo stesso Ronaldinho ne ha fatto un marchio registrato per un pallone da calcio in Brasile. Wrestlers professionisti ne hanno fatto un segno di riconoscimento. Ma le origini, sebbene affidate esclusivamente a quanto scritto dall'Honolulu Star Bullettin, ricondurrebbero lo Shaka Sign ad Hamana Kalili che perse le tre dita centrali della mano destra lavorando alla fabbrica di zucchero Kahuku Sugar Mill. Così fu spostato a fare la guardia al treno che trasportava lo zucchero, e il suo gesto per indicare il via libera al treno con quella mano destra, con solo il pollice e il mignolo, ha fatto si che si evolvesse negli anni nello Shaka Sign, anche grazie ai tanti bambini che era mossi dalla voglia di imitare quel suo gesto.


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